Nel cuore della notte, in
un bordello della Galizia, Maria da Visitaçao, insonne, ascolta la
storia di Herbal. Lui è un uomo taciturno e riservato, ma quella
notte le racconta dell'infanzia cresciuta in una famiglia povera,
dell'innamoramento a prima vista della bella Marisa Mallo, degli anni
da secondino nelle carceri durante la guerra civile. Le parla del
dottor Da Barca, giovane idealista repubblicano la cui strada
incrociò quella di Herbal durante la guerra.
All'epoca erano uno
carceriere e l'altro prigioniero. Il dottore, incarcerato come tanti
altri per motivi politici, emanava dignità e saggezza a dispetto
della sua giovane età. Gli altri carcerati lo rispettavano, fuori la
bella Marisa lo aspettava con ansia.
In quegli anni da
nazionalista, Herbal seguiva i consigli che la vocina del pittore gli
sussurrava all'orecchio, lo stesso pittore amico del dottor Da Barca
che Herbal aveva fucilato assieme alle altre guardie nel lontano
1938.
Il pittore era tutto d'un pezzo, spiegò Herbal a Maria da Visitaçao. E fu uno dei primi che arrestammo. E' un tipo molto pericoloso, aveva detto il sergente Landesa. Pericoloso? Ma se non è capace neppure di schiacciare una formica. Che volete saperne voialtri! Aveva ribattuto, enigmatico. E' l'autore dei manifesti, quello che dipinge le idee. (p.21)
Nessuno, nemmeno lo
stesso Da Barca, ha mai saputo del legame tra il pittore, il dottore,
Marisa ed Herbal. Scivola fuori come una confessione dalla bocca di
Herbal alle orecchie della triste Maria, molti anni dopo la fine
della guerra.
Tra le distrazioni dei “passeggiatori” notturni c'era quella della morte rimandata. A volte, tra i prigionieri scelti per essere assassinati, ne sopravviveva qualcuno cui toccava una pallottola a salve. E tale fortuna, quel frammento di vita concesso dalla sorte, rendeva tutto più drammatico, prima e dopo. Prima, perché una flebile e capricciosa speranza squilibrava come un strada acciottolata la solidarietà dei condannati legati in fila indiana. E dopo, perché colui che tornava in galera testimoniava l'orrore con lo spavento del suo sguardo. (p.50)
Il lapis del falegname è
un libercolo di Manuel Rivas tanto smilzo quanto forte. E' fatto di pagine poetiche e
malinconiche che raccontano questo legame di odio-amore di Herbal per
il dottor Da Barca.
Herbal odia il dottore.
Lo invidia perché viene da una buona famiglia, perché ha studiato,
per la sua aria intellettuale, perché è riuscito a conquistare
proprio l'amore della bella Marisa, perché si è guadagnato il
rispetto dei suoi compagni di prigionia.
Però prova anche
ammirazione nei suoi confronti. Per la sua fedeltà alla causa
repubblicana, per la sua rettitudine, per la sua intelligenza e
cultura e per la sua pacatezza.
E di questa parte
fondamentale che ha svolto nella vita di una guardia, il dottore non
ha mai saputo né mai saprà niente.
E' un romanzo, una
confessione, una liberazione e una testimonianza. E' la guerra civile
spagnola con più realismo di quanto potrebbe trasmetterne un libro
di storia. Davvero bello e, perché no?, anche struggente.
E in carcere i detenuti formarono anche un'orchestra. Tra loro c'erano diversi musicisti di buon livello, i migliori delle Mariñas, che durante il periodo della Repubblica era una zona rinomata per le feste da ballo. Perlopiù erano anarchici e amavano i boleri romantici, con la malinconia dello splendore perduto. Non avevano strumenti, e così suonavano con il soffio e con le mani. Il trombone, il sassofono, la tromba. Ognuno creava il suo strumento nell'aria. Le percussioni erano invece autentiche. [...] Pepe Sánchez cantava. Lo avevano arrestato assieme a varie dozzine di fuggiaschi nelle stive di un peschereccio, sul punto di salpare per la Francia. Sánchez aveva il dono della voce e, quando cantava in cortile, i carcerati guardavano la città che si stagliava in alto, perché la prigione sorgeva in un avvallamento tra il faro e la città, come per dire non sapete cosa vi perdete. In quel momento, ognuno di loro avrebbe pagato per stare dove si trovava. Nella garitta, Herbal posava il fucile, appoggiava la testa sulla pietra sporgente e chiudeva gli occhi come fosse il custode di un teatro d'opera. (p.63)