mercoledì 14 febbraio 2018

Novecento

Ho sempre sentito parlare molto di Alessandro Baricco. Di solito i commentatori si dividono in due nette categorie: gli estimatori e i detrattori. Gli estimatori sembra lo amino per la capacità evocativa e le atmosfere un tantino surreali, i detrattori lo demoliscono per le frasi ad impatto e gli aforismi facili. Ammetto di non aver letto nessuna delle sue opere maggiori, come City, Castelli di rabbia o il celebre Oceano mare, ma, per quel poco che ho letto, mi sa proprio che non rientro in nessuna delle due categorie.

Tanti anni fa lessi Seta. Ricordo pochissimo di quel libro perché lo lessi in fretta (è scorrevole e molto breve) ed è passato molto tempo. Però ricordo che mi piacque e che lo riposi nel cassetto mentale in cui avevo già archiviato Neve di Maxence Fermine e La ragazza color dell'alba di Alev Lytle Croutier: in tutti e tre questi romanzi brevi ci sono atmosfere favolistiche, impalpabili e degli uomini che fanno viaggi in luoghi esotici e che si innamorano di una bellezza dall'aura misteriosa. Insomma, Seta mi era piaciuto e il mio primo incontro con Baricco andò bene.

Anni prima avevo visto La leggenda del pianista sull'oceano e me ne ero innamorata. Lo sono tutt'ora: mi ricordo le battute, gli sguardi e le musiche, e quelle tre ore di film mi sembrano troppo corte ogni volta che lo riguardo. Dato il mio smisurato amore per questa pellicola, avevo ovviamente deciso di leggere il monologo di Baricco da cui è tratta, ma andava sempre a finire che, dopo un giro in libreria, non lo compravo mai perché trovavo qualcosa di difficilmente reperibile che era proprio il caso di arraffare appena possibile, mentre Novecento, con i suoi 6,50€ e le copie onnipresenti su ogni scaffale veniva rimandato e rimandato, "tanto posso leggerlo quando voglio".

Un giovedì di fine settembre dell'anno scorso scopro che Novecento verrà rappresentato nella mia città, a prezzo scontatissimo e fuori cartellone, nell'ambito di un evento particolare. Non faccio neanche in tempo a pensare che vorrei andare a vederlo, che la mattina dopo ho già i biglietti in mano. Lo spettacolo è domenica sera, siamo venerdì e Novecento è un libercolo sottilissimo. Volo alla Feltrinelli in pausa pranzo, arraffo una copia e comincio a leggerla davanti a un bicchiere di latte macchiato.

Vecchia e nuova copertina Feltrinelli
All'inizio è impossibile non leggerlo con in testa le voci dei doppiatori del film e rivedere nella mente tutte quelle scene memorabili con Tim Roth e Pruitt Vince, ma con lo scorrere delle pagine mi slego dalla pellicola e il monologo acquista un suo personale carattere.
Cos'ha di bello Novecento? A me personalmente piacciono l'ambientazione (prima metà del XX secolo), il linguaggio tipico del parlato (espressioni come "non son buono" per dire non sono capace, ripetizioni, dislocazioni, digressioni, riformulazioni) e l'intimità che si crea tra il lettore (spettatore nelle intenzioni originali) e il narratore, Max Tooney. E anche la nostalgia. E' una storia nostalgica perché sono i ricordi di Max, raccontati da Max stesso, dei suoi anni passati a suonare la tromba a bordo del Virginian, transatlantico, tra il 1927 e il 1933. E' la sua giovinezza raccontata a chi presta orecchio e il racconto della sua amicizia con Novecento, pianista sopra le righe, di una bravura incommensurabile. Novecento è il fulcro del racconto di Max, lo vediamo come lo vedeva lui, come lo ricorda lui, una creatura strana, piovuta da un altro pianeta quasi, un uomo fuori dagli schemi che deve aver profondamente cambiato Max (anche se noi di Max non sappiamo quasi niente al di fuori di quei sei anni sul Virginian). E' un ricordo dolceamaro e forse anche un epitaffio per la persona più importante della sua vita. 

Ammetto però, che i detrattori di Baricco un po' hanno ragione, perché tutte quelle frasi furbette, buttate lì come se fossero spontanee, effettivamente ci sono e hanno dato fastidio anche a me. Ad esempio:
Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. (p.13) 
Laggiù, in sala macchine, quella notte, Novecento e io diventammo amici. Per la pelle. E per sempre. Passammo tutto il tempo a contare quanto poteva fare in dollari tutto quello che avevamo rotto. E più il conto saliva, più ridevamo. E se io ci ripenso, mi sembra che era quella cosa lì, essere felici. O una cosa del genere. (p.31) 
Andavo di fantasia, e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre. (p.53)
Il monologo mi è piaciuto comunque e l'ho letto in un soffio. Male non ha fatto.

La messa in scena a teatro invece non mi è particolarmente piaciuta. La scenografia si è limitata a una vela al centro del palcoscenico e due sedie ai lati. Max, interpretato da Antonello Avallone, recitava con una vocina buffa, impostata. Di tanto in tanto partivano in sottofondo brani della colonna sonora del film, stupendi, perché Ennio Morricone non serve neanche spiegarlo, ma talvolta fuori luogo. Ad esempio, durante il duello con Jelly Roll Morton, Max parla dell'esecuzione di sei brani: tre fasi del duello per un brano a testa per ogni sfidante, quindi  nel round 1 prima suona Jelly Roll Morton e poi Novecento, round 2 JRM-900, round3 JRM-900 = 6 brani in totale. Parte il racconto del duello e, in corrispondenza del primo brano, si sente la musica del film suonata da Jelly Roll. Segue il secondo brano e si spargono le note suonate da Novecento. Poi prosegue il racconto ma la musica tace, per tornare infine, brevemente, in corrispondenza dell'ultimo brano che decreta la vittoria di Novecento. Perché? Perché far sentire solo la metà dei brani mentre vengono tutti raccontati? La musica, volendo, c'era. Il tempo per inserirla pure. O tutti i brani o nessuno sembrava una scelta troppo radicale? Vabbè.
Qua sotto la sfida completa:

Ancora peggio: interi brani sono stati tagliati dalla rappresentazione. Ora, non dico che uno non può tagliare, ma dev'esserci un motivo di sorta. Novecento è un monologo davvero breve anche da mettere in scena, un'oretta scarsa (nel mio caso 45 minuti), che reale bisogno c'era di tagliare delle parti? In particolare è stato tagliato un brano (effettivamente non fondamentale per la storia, non contiene fatti) che è il mio preferito: quello sui quadri che cadono quando meno te lo aspetti.
Eccolo qua: 

Insomma, è stato interessante vedere Novecento rappresentato a teatro dopo averlo già sperimentato nell'ambito del cinema e della letteratura, però non ho granché apprezzato la messa in scena. Mi sa che non riuscirò a rivederlo a teatro tanto presto, però, se in futuro mi capitasse di nuovo l'occasione, un pensierino ce lo farei ;)