sabato 12 maggio 2018

Babbo Natale porta libri - 2017

Questo post doveva uscire mesi fa. Per settimane la bozza è rimasta a prendere muffa senza che riuscissi a darle una forma decente. Oggi mi sono detta: "ora o mai più!", perciò ecco qua i miei libri natalizi.

Ero davvero convinta che quest'anno Babbo Natale non mi avrebbe portato nessun libro. Tutti sanno che ho tonnellate di libri da leggere e che non ho spazio dove mettere libri nuovi (ma ne compro avanti lo stesso), nessuno mi ha chiesto niente, e di solito qualche suggerimento lo chiedono. Ma quest'anno, o meglio l'anno scorso ormai, nada. 

Di solito sotto l'albero non manca mai un autoregalo che finisce inevitabilmente per essere un libro, giusto per andare sul sicuro e avere la certezza che nel momento cruciale, dopo la mezzanotte della vigilia, avrò qualcosa di bello da scartare e per cui essere entusiasta: è la mia personale tradizione natalizia e la porto avanti da quando andavo ancora a scuola. Quest'anno, però, a dicembre ero fusa, stanca, stressata, con troppa roba da fare e poco tempo per farla, qualsiasi viaggio in libreria si trasformava in un toccata e fuga insoddisfacente.

Ovviamente mi sono ridotta a fare quasi tutti i regali di Natale sabato 23. Cinque ore di avanti e indietro per il centro città e di dentro e fuori da una dozzina di negozi, di cui la metà erano librerie, perché regalare libri mi piace e mi piace ancora di più vedere che poi i regali sono azzeccati.
Temendo, appunto, di non ricevere alcun libro, ho pensato attentamente a cosa regalarmi, peccato che una grossa fetta della mia wishlist librosa sia fuori commercio. Ormai era tardi per comprare qualcosa on-line se speravo di avere qualche pacchetto da scartare sotto l'albero, così ho fatto una cernita in base alla reperibilità dei testi e sono uscita di casa con la mia bella lista. Dato che il tempo era ormai agli sgoccioli e che gli altri lettori della città avevano già arraffato il possibile svuotando gli scaffali, diversi dei titoli che cercavo latitavano. Sono ugualmente riuscita a trovare un paio di cosette che hanno proprio migliorato il mio Natale. 

La prima è Nella casa del pianista di Jan Brokken. Se la giocava con Bagliori a San Pietroburgo e Anime baltiche, dello stesso autore, perché è qualche mese che leggo commenti sempre positivi sui libri di Brokken e mi interessa ampliare le mie letture nel campo della non-fiction, che fosse edito da Iperborea poi era un plus. Vinta l'indecisione mi sono votata alla ricerca di questa biografia del giovane pianista Yuri Egorov, nella speranza di affiancare l'ascolto dei brani alla lettura del libro. Purtroppo non ho trovato l'edizione con la copertina che speravo, ma, dopo ore in piedi e sei librerie alle spalle, ho deciso che non era importante e ho colto l'occasione. Attualmente è in lettura e mi pare valga proprio la spesa.

La copertina che ho trovato
 con la foto di Egorov
La copertina che volevo
ma non era destino avessi

La seconda è il Dizionario dei luoghi letterari immaginari stilato da Anna Ferrari. L'avevo adocchiato all'inizio di dicembre ed ero tornata a sbavare in libreria almeno un altro paio di volte prima di decidere che era l'autoregalo che volevo assolutamente sotto l'albero. Il dizionario è bello ricco, pieno di luoghi descritti o nominati in opere secondarie o sconosciute, oltre ovviamente ai must del caso, ad esempio la voce Inferno occupa la bellezza di 26 colonne! Oltre ai luoghi geografici, comprende anche mezzi di trasporto, come il Nautilus di Verne, gruppi di persone, come il Circolo Pickwick di Dickens, e chissà cos'altro che non ho ancora notato. Sarà infinita fonte di curiosità letteraria e sprone alla lettura *u*

Alla fine, quando meno me l'aspettavo, dei libri Babbo Natale li ha portati lo stesso. Ho ricevuto un romanzo, una graphic novel e una cosa divertente.
Il romanzo è Il serpente dell'Essex di Sarah Perry. La stupenda copertina è bilanciata dagli orribili commenti sul retro, roba altisonante come:
«Se Charles Dickens e Bram Stoker si fossero riuniti per scrivere il grande romanzo vittoriano, mi chiedo se avrebbero superato Il serpente dell’Essex. Sarah Perry si afferma come una delle migliori scrittrici inglesi di oggi».
John Burnside
 e
«Per l’originalità, la ricchezza della prosa e la profondità nella caratterizzazione dei personaggi è improbabile che possa esserci un libro migliore, quest’anno».
Sunday Times
Giusto perché Neri Pozza non voleva sbilanciarsi -_-'
E' un romanzo storico di ambientazione vittoriana. Dalla seconda di copertina ha l'aria di un mystery e la cosa non mi dispiace. Dubito sarà all'altezza dei commenti entusiastici e molto fasulli, ma nulla toglie che possa essere una lettura piacevole. Staremo a vedere.


La graphic novel è Jane Austen di Manuela Santoni. Me l'ha regalato un'amica con cui condivido un interesse per i classici. Ovviamente LEI adora Jane Austen. Io sono nel limbo: anni fa iniziai Orgoglio e pregiudizio e dopo poco più di 100 pagine mi sentivo davvero irritata. Sul momento pensai fosse l'ironia pungente, ma riflettendoci su mi sono accorta che ci sono altri libri fortemente ironici che invece ho apprezzato. Forse è il fatto che l'ironia austeniana non risparmia nessuno, facendo sembrare tutti i personaggi (tranne Elizabeth e Darcy) degli emeriti imbecilli.
Quella volta accantonai la lettura ripromettendomi di provarci ancora con qualche altro titolo della Austen, magari Persuasione. Non ho ancora ripreso in mano niente di suo e non sono propensa nell'immediato futuro, ciò non toglie che il regalo mi abbia fatto piacere e che la biografia della scrittrice mi interessi anche se non sono ancora stata in grado di apprezzarne l'opera.


Infine ho ricevuto un libretto intitolato Non ho parole. E' una raccolta di parole, frasi, modi di dire intraducibili in lingue diverse da quella di origine. E' l'evidenza di quanto il linguaggio influenzi la cultura e il modo di pensare, perché dare un nome a qualcosa significa ritenerlo importante abbastanza da essere menzionato, mentre, se un concetto non ha un corrispettivo linguistico in una lingua diversa da quella in cui è nato, è probabile che nella "nuova" (nel senso di altra, di diversa da quella di origine) cultura non esista proprio quell'idea. Un bell'esperimento che sa essere anche divertente.


Insomma, io nei regali librosi a dicembre non ci speravo quasi più e invece sono finita con un buon bottino e un mucchio di roba da scartare. Grazie Babbo Natale!

mercoledì 14 febbraio 2018

Novecento

Ho sempre sentito parlare molto di Alessandro Baricco. Di solito i commentatori si dividono in due nette categorie: gli estimatori e i detrattori. Gli estimatori sembra lo amino per la capacità evocativa e le atmosfere un tantino surreali, i detrattori lo demoliscono per le frasi ad impatto e gli aforismi facili. Ammetto di non aver letto nessuna delle sue opere maggiori, come City, Castelli di rabbia o il celebre Oceano mare, ma, per quel poco che ho letto, mi sa proprio che non rientro in nessuna delle due categorie.

Tanti anni fa lessi Seta. Ricordo pochissimo di quel libro perché lo lessi in fretta (è scorrevole e molto breve) ed è passato molto tempo. Però ricordo che mi piacque e che lo riposi nel cassetto mentale in cui avevo già archiviato Neve di Maxence Fermine e La ragazza color dell'alba di Alev Lytle Croutier: in tutti e tre questi romanzi brevi ci sono atmosfere favolistiche, impalpabili e degli uomini che fanno viaggi in luoghi esotici e che si innamorano di una bellezza dall'aura misteriosa. Insomma, Seta mi era piaciuto e il mio primo incontro con Baricco andò bene.

Anni prima avevo visto La leggenda del pianista sull'oceano e me ne ero innamorata. Lo sono tutt'ora: mi ricordo le battute, gli sguardi e le musiche, e quelle tre ore di film mi sembrano troppo corte ogni volta che lo riguardo. Dato il mio smisurato amore per questa pellicola, avevo ovviamente deciso di leggere il monologo di Baricco da cui è tratta, ma andava sempre a finire che, dopo un giro in libreria, non lo compravo mai perché trovavo qualcosa di difficilmente reperibile che era proprio il caso di arraffare appena possibile, mentre Novecento, con i suoi 6,50€ e le copie onnipresenti su ogni scaffale veniva rimandato e rimandato, "tanto posso leggerlo quando voglio".

Un giovedì di fine settembre dell'anno scorso scopro che Novecento verrà rappresentato nella mia città, a prezzo scontatissimo e fuori cartellone, nell'ambito di un evento particolare. Non faccio neanche in tempo a pensare che vorrei andare a vederlo, che la mattina dopo ho già i biglietti in mano. Lo spettacolo è domenica sera, siamo venerdì e Novecento è un libercolo sottilissimo. Volo alla Feltrinelli in pausa pranzo, arraffo una copia e comincio a leggerla davanti a un bicchiere di latte macchiato.

Vecchia e nuova copertina Feltrinelli
All'inizio è impossibile non leggerlo con in testa le voci dei doppiatori del film e rivedere nella mente tutte quelle scene memorabili con Tim Roth e Pruitt Vince, ma con lo scorrere delle pagine mi slego dalla pellicola e il monologo acquista un suo personale carattere.
Cos'ha di bello Novecento? A me personalmente piacciono l'ambientazione (prima metà del XX secolo), il linguaggio tipico del parlato (espressioni come "non son buono" per dire non sono capace, ripetizioni, dislocazioni, digressioni, riformulazioni) e l'intimità che si crea tra il lettore (spettatore nelle intenzioni originali) e il narratore, Max Tooney. E anche la nostalgia. E' una storia nostalgica perché sono i ricordi di Max, raccontati da Max stesso, dei suoi anni passati a suonare la tromba a bordo del Virginian, transatlantico, tra il 1927 e il 1933. E' la sua giovinezza raccontata a chi presta orecchio e il racconto della sua amicizia con Novecento, pianista sopra le righe, di una bravura incommensurabile. Novecento è il fulcro del racconto di Max, lo vediamo come lo vedeva lui, come lo ricorda lui, una creatura strana, piovuta da un altro pianeta quasi, un uomo fuori dagli schemi che deve aver profondamente cambiato Max (anche se noi di Max non sappiamo quasi niente al di fuori di quei sei anni sul Virginian). E' un ricordo dolceamaro e forse anche un epitaffio per la persona più importante della sua vita. 

Ammetto però, che i detrattori di Baricco un po' hanno ragione, perché tutte quelle frasi furbette, buttate lì come se fossero spontanee, effettivamente ci sono e hanno dato fastidio anche a me. Ad esempio:
Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. (p.13) 
Laggiù, in sala macchine, quella notte, Novecento e io diventammo amici. Per la pelle. E per sempre. Passammo tutto il tempo a contare quanto poteva fare in dollari tutto quello che avevamo rotto. E più il conto saliva, più ridevamo. E se io ci ripenso, mi sembra che era quella cosa lì, essere felici. O una cosa del genere. (p.31) 
Andavo di fantasia, e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c'è più nient'altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre. (p.53)
Il monologo mi è piaciuto comunque e l'ho letto in un soffio. Male non ha fatto.

La messa in scena a teatro invece non mi è particolarmente piaciuta. La scenografia si è limitata a una vela al centro del palcoscenico e due sedie ai lati. Max, interpretato da Antonello Avallone, recitava con una vocina buffa, impostata. Di tanto in tanto partivano in sottofondo brani della colonna sonora del film, stupendi, perché Ennio Morricone non serve neanche spiegarlo, ma talvolta fuori luogo. Ad esempio, durante il duello con Jelly Roll Morton, Max parla dell'esecuzione di sei brani: tre fasi del duello per un brano a testa per ogni sfidante, quindi  nel round 1 prima suona Jelly Roll Morton e poi Novecento, round 2 JRM-900, round3 JRM-900 = 6 brani in totale. Parte il racconto del duello e, in corrispondenza del primo brano, si sente la musica del film suonata da Jelly Roll. Segue il secondo brano e si spargono le note suonate da Novecento. Poi prosegue il racconto ma la musica tace, per tornare infine, brevemente, in corrispondenza dell'ultimo brano che decreta la vittoria di Novecento. Perché? Perché far sentire solo la metà dei brani mentre vengono tutti raccontati? La musica, volendo, c'era. Il tempo per inserirla pure. O tutti i brani o nessuno sembrava una scelta troppo radicale? Vabbè.
Qua sotto la sfida completa:

Ancora peggio: interi brani sono stati tagliati dalla rappresentazione. Ora, non dico che uno non può tagliare, ma dev'esserci un motivo di sorta. Novecento è un monologo davvero breve anche da mettere in scena, un'oretta scarsa (nel mio caso 45 minuti), che reale bisogno c'era di tagliare delle parti? In particolare è stato tagliato un brano (effettivamente non fondamentale per la storia, non contiene fatti) che è il mio preferito: quello sui quadri che cadono quando meno te lo aspetti.
Eccolo qua: 

Insomma, è stato interessante vedere Novecento rappresentato a teatro dopo averlo già sperimentato nell'ambito del cinema e della letteratura, però non ho granché apprezzato la messa in scena. Mi sa che non riuscirò a rivederlo a teatro tanto presto, però, se in futuro mi capitasse di nuovo l'occasione, un pensierino ce lo farei ;)